La Costa dei Trabocchi è un tratto del litorale abruzzese, nel medio Adriatico, esteso lungo la strada statale 16 Adriatica e corrispondente alla maggior parte della costa provincia di Chieti. Il litorale è caratterizzato dalla diffusa presenza di trabocchi, antiche macchine da pesca su palafitta. Fra le varie teorie sulle prime apparizioni dei trabocchi sulle coste abruzzesi, una delle più accreditate li farebbe risalire al XVIII secolo.

Geografia
La costa non si presenta omogenea nei vari tratti che la compongono, mostrando notevole varietà nell’aspetto; vi sono infatti tratti di spiaggia bassa e sabbiosa (come a Ortona, Le Morge, Casalbordino, Vasto e San Salvo) e tratti a ciottolame (a Fossacesia, Torino di Sangro e Vasto), oltre a tratti alti e rocciosi (a San Vito Chietino, Rocca San Giovanni e Vasto).

La fascia costiera si snoda tra vallate e colline che, terminando sul mare, danno vita a paesaggi e ambienti naturali di vario genere. Dal punto di vista urbanistico, l’impianto urbano di questo tratto di litorale non condivide i caratteri di continuità e linearità propri del cosiddetto Sistema lineare basso-adriatico, la lunga area metropolitana che si sviluppa in maniera più o meno continua da Rimini fino a Ortona, anche se fenomeni di speculazione edilizia e “francavillizzazione” (ovvero la costruzione di edifici a ridosso della linea di costa, privando accesso e visibilità del mare come avvenuto nel vicino comune di Francavilla al Mare) continuano a minacciare l’integrità dell’ambiente naturale.

Storia
Secondo alcuni il trabocco sarebbe un’invenzione dei Fenici, ma i primi documenti che parlano dei “trabocchi”, reperiti dal padre Stefano Tiraboschi, si parla della presenza di Celestino V nell’abbazia di San Giovanni a Fossacesia, citando anche strutture lignee sulla spiaggia detti “trabocchi”, si deduce che durante l’epoca di soggiorno del frate Pietro da Morrone a Fossacesia nel 1240, i trabocchi già esistevano.

Altre attestazioni si hanno nel XVIII secolo, lungo la costa garganica. Lo storico Cupido narra che il terremoto del 1627 colpì il Gargano, generando un maremoto che colpì anche i fiumi Fortore e l’Aterno-Pescara. Durante l’epoca del vice regno spagnolo, in queste zone giunsero dei coloni francesi, composte da fabbri e falegnami, che popolarono in Abruzzo le comunità di San Vito e Rocca San Giovanni, nel Gargano Vieste e Peschici.

I trabocchi costruiti da loro, secondo alcuni da famiglie di religione ebraica, servirono come ingegnose macchine da pesca per poter prendere la cacciagione direttamente sulla terraferma, e non avventurandosi rischiosamente in barca.

Studi recenti, peraltro, hanno dimostrato che secondo antica tradizione di tutto l’Adriatico, in mancanza di strade a lunga percorrenza, venivano realizzati impalcati per l’attracco di navi da cabotaggio impiegate nel trasporto dei prodotti della terra, verso i mercati della Dalmazia, del Regno di Napoli, dello Stato della Chiesa, dell’Austria e della Repubblica di Venezia. Ed era onere delle locali autorità feudali o della borghesia terriera costruire e mantenere queste strutture, come risulta dagli atti degli erari dell’Abbazia di S. Giovanni in Venere, conforme la storiografia ufficiale. Tra tutti, Alessandra Bulgarelli Lukacs, studiosa dell’Università Federico II di Napoli, la quale sostiene che la costa abruzzese, tra il Sangro e Ortona, era punteggiata di queste strutture dette caricatoi-scaricatoi in grado di ospitare piccolo naviglio di uso cabotiero. È questo dunque lo scenario da cui emerge e prende corpo il trabocco, che noi conosciamo. L’occasione è data dal progetto di deforestazione e dissodamento di terreni, tra S. Fino e Vallevò, a partire dalla metà del ‘700. Nel corso di tali operazioni venivano realizzate impalcature in legno, per consentire il carico del materiale legnoso sulle navi da cabotaggio veneziane. Tali strutture furono realizzate nei punti in cui la costa presentava scogli affioranti con acque profonde sufficientemente per consentire la navigazione alle suddette imbarcazioni, tra Punta della Schiavonesca e Punta Malvò. Esattamente a Punta de’ Mazziotti, in una piantina di metà Ottocento, risulta collocato il «2° trabocco». A conclusione di tali operazioni forestali i coloni protagonisti, insediatisi definitivamente con le loro famiglie sulle terre ricevute, parte in proprietà e parte in colonia perpetua, pensarono di adattare e recuperare tali “imposti”, utilizzandoli nella pesca dei periodi morti della lavorazione dei campi. Si distinsero in tali operazioni, secondo fonti scritte, coloni identificati a mezzo patronimici tra cui “Jacobo Antonio” che intorno al 1750 diede origine al cognome Virì. Tali coloni, provenienti dalla Dalmazia parecchi secoli prima, erano insediati, secondo la cartina antica Igm n. 7, in località S. Fino dove è riportato il toponimo “Masseria Vrì”, da cui “Virì” e infine Verì. L’intento e le fatiche di tali coloni pare abbiano prodotto i risultati sperati, se le stesse strutture furono poi ripensate, consolidate e migliorate, grazie all’esperienza acquisita nel tempo e all’impiego di materiale ferroso abbandonato dalle maestranze addette alla costruzione della vicina strada ferrata. I trabocchi, dunque, sarebbero nati da strutture create, secondo tradizione antica, per dare sbocco alle attività economiche del territorio, cui i coloni protagonisti di quella stagione agro-silvana seppero dare, in definitiva, una diversa e utile destinazione, impedendone la distruzione al mare, tramandando così ai posteri un patrimonio culturale e morale di inestimabile bellezza, insieme a una tradizione che ancora oggi continua ad arricchirsi di senso, essendo diventata identitaria di tutta la costa e soprattutto della comunità territoriale.[6] Nel 1889 Gabriele D’Annunzio affittò una villa presso San Vito Chietino, rimanendo colpito dai trabocchi, in particolare dal trabocco Turchino, che descrisse nel romanzo Il trionfo della morte (1894).

Tratto da Wikipedia

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